Gabriele d'Annunzio (1863-1938)
Déspota, andamos e combatemos sempre
Fiéis ao teu comando.
Vê que os braços e pulsos
São de boa têmpera!
Ó magnânimo Déspota concede
Ao bom combatente a sombra dos louros
Que ele sinta a relva debaixo dos pés descalços
Que consagre seu belo cavalo zaino
À força de Fiume e em sua aurora
Conheça a alegria do centauro
Ó Déspota, ele será ainda jovem!
Dá-lhe as margens e bosques e prados e montes e céus
E ele será ainda jovem
Purificados de todo o fedor humano em gélidas fontes,
Ele demandará pela sua celebração
Apenas o anel dos últimos horizontes
Os ventos e raios teceram a veste nova
E a carne livre de todo o mal
Entrou em marcha ligeira e destra
Tu o sabes: por te obedecer ó Triunfal,
Fomos por muito tempo a hoste, sim,
Francos e duros; Nem o coração perguntou jamais - O que isto vale?
Desesperado por vencer; nem cansaço jamais aparentamos,
Nem nunca tristes ou incertos
Pois a tua vontade envolvia-nos os flancos
Oh Mestre, tu sabes: Foi para aprazer-te.
Mas era pungente o fedor humano
E vil o derredor como rebanhos inertes
E a turba formava uma quimera
Opaca e obesa que tresandava
Sim, que foi culminar no abafar da gorgeia
Os aspectos da Vida e da Morte
Em vão reluziam sua carniça densa
E os enigmas da obscura sorte
Não havia pão para aquela desprezível fome
A beleza terrível, onde o derradeiro bruto
Berrava irado sobre seu estrame.
Pura, alegre maravilha, se algum dardo
Todo d’Ouro lhe pousar directo no precórdio,
Oh o seu frémito galhardo!
E tu disseste a nós: “Aquilo que é divino
Despertar-se-á no fadigoso monstro.
Afixai na testa o seu novo destino
E nós perseverámos, com o nosso coração ardente,
Para aprazer-te, ó Imperador;
E de si, nós não pudemos ter garras nem bico.
Mas me surge por meio de contido ardor
A veia inextinguível e alegre
Do riso que soou como um clangor
E para cada injúria da besta imunda
Escorria mais vivo e mais puro
Tal cristal d’Alma profunda
Erma alegria! Afinal o escravo abjecto
Desvaneceu-se com a mica do convite
De longe ladrava rouco a seu despeito
E o desleal proxeneta, putrefacto
No seu vício, do beco lúbrico
Com ojeriza nos apontava o dedo.
Oh Déspota, tu dás este conforto
Ao coração valente que ao ultraje elogia
E à preocupação da virtude considera um erro.
E nesta solidão se desfruta
Sentindo-se como inexausta fonte
Dedica a obra ao tempo; e isto não ouve.
Admoestaste o aluno: “Se há mão pronta,
Não escolhas os vermes no esterco
Mas as gargantas das serpentes de Laocoonte”
E ele seguiu a primeira admoestação;
Permaneceu fiel aos teus mandamentos;
E atento ao teu sinal foi às alturas e às profundezas
Déspota, ora tu concede-lhes o alento
Ao nervo e abandona-lhes os ébrios espíritos
À voraz melodia do vento
Muito se trabalhou por obedecer-te
Discursai aos seus heróis nos prados das abróteas
Ou escutai os faunos a rirem-se entre os mirtos
O Verão a arder desnudo pelo meio do céu.
**
Dèspota, andammo e combattemmo, sempre
fedeli al tuo comandamento. Vedi
che l'armi e i polsi eran di buone tempre.
O magnanimo Dèspota, concedi
al buon combattitor l'ombra del lauro,
ch'ei senta l'erba sotto i nudi piedi,
ch'ei consacri il suo bel cavallo sauro
alla forza dei Fiumi e in su l'aurora
ei conosca la gioia del Centauro.
O Dèspota, ei sarà giovine ancóra!
Dàgli le rive i boschi i prati i monti
i cieli, ed ei sarà giovine ancóra
Deterso d'ogni umano lezzo in fonti
gelidi, ei chiederà per la sua festa
sol l'anello degli ultimi orizzonti
I vènti e i raggi tesseran la vesta
nova, e la carne scevra d'ogni male
éntrovi balzerà leggera e presta.
Tu 'l sai: per t'obbedire, o Trionfale,
sí lungamente fummo a oste, franchi
e duri; né il cor disse mai "Che vale?"
disperato di vincere; né stanchi
mai apparimmo, né mai tristi o incerti,
ché il tuo volere ci fasciava i fianchi.
O Maestro, tu 'l sai: fu per piacerti.
Ma greve era l'umano lezzo ed era
vile talor come di mandre inerti;
e la turba faceva una Chimera
opaca e obesa che putiva forte
sí che stretta era all'afa la gorgiera.
Gli aspetti della Vita e della Morte
invano balenavan sul carname
folto, e gli enimmi dell'oscura sorte.
Non era pane a quella bassa fame
la bellezza terribile; onde il tardo
bruto mugghiava irato sul suo strame.
Pur, lieta maraviglia, se alcun dardo
tutt'oro gli giungea diritto insino
ai precordii, oh il suo fremito gagliardo!
E tu dicevi in noi: "Quel ch'è divino
si sveglierà nel faticoso mostro.
Bàttigli in fronte il novo suo destino".
E noi perseverammo, col cuor nostro
ardente, per piacerti, o Imperatore;
e su noi non potè ugna nè rostro.
Ma ne sorse per mezzo al chiuso ardore
la vena inestinguibile e gioconda
del riso, che sonò come clangore.
E ad ogni ingiuria della bestia immonda
scaturiva più vivido e più schietto
tal cristallo dall'anima profonda.
Erma allegrezza! Fin lo schiavo abietto,
sfumato con le miche del convito,
lungi rauco latrava il suo dispetto;
e l'obliqio lenone, imputridito
nel vizio suo, dal lubrico angiporto
con abominio ci segnava a dito.
O Dèspota, tu dài questo conforto
al cuor possente, cui l'oltraggio èlode
e assillo di virtù ricever torto.
Ei nella solitudine si gode
sentendo sé come inesausto fonte
Dedica l'opre al Tempo; e ciò non ode.
Ammonisti l'alunno: "Se hai man pronte,
non iscegliere i vermini nel fimo
ma strozza i serpi di Laocoonte".
Ed ei seguì l'ammonimento primo;
restò fedele ai tuoi comandamenti;
fiso fu ne' tuoi segni a sommo e ad imo.
Dèspota, or tu concedigli che allenti
il nervo ed abbandoni gli ebri spirti
alle voraci melodíe dei vènti!
Assai si travagliò per obbedirti.
Scorse gli Eroi su i prati d'asfodelo.
Or ode i Fauni ridere tra i mirti.
l'Estate ignuda ardendo a mezzo il cielo.
fedeli al tuo comandamento. Vedi
che l'armi e i polsi eran di buone tempre.
O magnanimo Dèspota, concedi
al buon combattitor l'ombra del lauro,
ch'ei senta l'erba sotto i nudi piedi,
ch'ei consacri il suo bel cavallo sauro
alla forza dei Fiumi e in su l'aurora
ei conosca la gioia del Centauro.
O Dèspota, ei sarà giovine ancóra!
Dàgli le rive i boschi i prati i monti
i cieli, ed ei sarà giovine ancóra
Deterso d'ogni umano lezzo in fonti
gelidi, ei chiederà per la sua festa
sol l'anello degli ultimi orizzonti
I vènti e i raggi tesseran la vesta
nova, e la carne scevra d'ogni male
éntrovi balzerà leggera e presta.
Tu 'l sai: per t'obbedire, o Trionfale,
sí lungamente fummo a oste, franchi
e duri; né il cor disse mai "Che vale?"
disperato di vincere; né stanchi
mai apparimmo, né mai tristi o incerti,
ché il tuo volere ci fasciava i fianchi.
O Maestro, tu 'l sai: fu per piacerti.
Ma greve era l'umano lezzo ed era
vile talor come di mandre inerti;
e la turba faceva una Chimera
opaca e obesa che putiva forte
sí che stretta era all'afa la gorgiera.
Gli aspetti della Vita e della Morte
invano balenavan sul carname
folto, e gli enimmi dell'oscura sorte.
Non era pane a quella bassa fame
la bellezza terribile; onde il tardo
bruto mugghiava irato sul suo strame.
Pur, lieta maraviglia, se alcun dardo
tutt'oro gli giungea diritto insino
ai precordii, oh il suo fremito gagliardo!
E tu dicevi in noi: "Quel ch'è divino
si sveglierà nel faticoso mostro.
Bàttigli in fronte il novo suo destino".
E noi perseverammo, col cuor nostro
ardente, per piacerti, o Imperatore;
e su noi non potè ugna nè rostro.
Ma ne sorse per mezzo al chiuso ardore
la vena inestinguibile e gioconda
del riso, che sonò come clangore.
E ad ogni ingiuria della bestia immonda
scaturiva più vivido e più schietto
tal cristallo dall'anima profonda.
Erma allegrezza! Fin lo schiavo abietto,
sfumato con le miche del convito,
lungi rauco latrava il suo dispetto;
e l'obliqio lenone, imputridito
nel vizio suo, dal lubrico angiporto
con abominio ci segnava a dito.
O Dèspota, tu dài questo conforto
al cuor possente, cui l'oltraggio èlode
e assillo di virtù ricever torto.
Ei nella solitudine si gode
sentendo sé come inesausto fonte
Dedica l'opre al Tempo; e ciò non ode.
Ammonisti l'alunno: "Se hai man pronte,
non iscegliere i vermini nel fimo
ma strozza i serpi di Laocoonte".
Ed ei seguì l'ammonimento primo;
restò fedele ai tuoi comandamenti;
fiso fu ne' tuoi segni a sommo e ad imo.
Dèspota, or tu concedigli che allenti
il nervo ed abbandoni gli ebri spirti
alle voraci melodíe dei vènti!
Assai si travagliò per obbedirti.
Scorse gli Eroi su i prati d'asfodelo.
Or ode i Fauni ridere tra i mirti.
l'Estate ignuda ardendo a mezzo il cielo.
***
Rudemente traduzido por A. Damasceno
"il poeta armato"
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